6. Per la critica delle fonti: l’autentico e il veridico
Indice dei riferimenti e approfondimenti
Riferimenti
«Dato un delitto, con le sue circostanze».
Il passo è tratto da uno dei primi polizieschi, di Emile Gaboriau (1832-1873) L’affare Lerouge, Club degli editori, Milano, 1962.
La storia, in tutti i suoi aspetti.
È la quarta delle “regole” della storia come scienza enunciate nella terza puntata.
«Mi inginocchio, di fronte al paese»
La “confessione” di Nicholai Bucharin (1888-1938) fu pronunciata il 12 marzo 1938 davanti a un tribunale di Mosca. La riabilitazione fu resa pubblica dal Partito Comunista dell’Unione Sovietica nel luglio 1988, ma già prima di essere arrestato Bucharin aveva scritto un “testamento” che aveva chiesto a sua moglie, Anna Michajlovna Larina (1914-1996), di imparare a memoria, e che cominciava con le parole: «Lascio questa vita. Piego la testa, benché non sotto la scure del proletariato, che sarebbe spietata, ma pura, incontaminata. Sono certo e sicuro della mia impotenza, davanti alla macchina infernale, che si serve di sistemi medievali, e maneggia un potere immane – la macchina che fabbrica calunnie sistematiche e funziona con perfetta automatica sicurezza».
«Fu ricominciato e accresciuto il tormento»
È la critica della tortura, come mostruosità umana e giuridica ma anche come strumento che produce “verità” spesso del tutto false e in ogni caso mai affidabili, formulata da Alessandro Manzoni (1785-1873) nella Storia della colonna infame, Einaudi, Torino, 2023. La grandezza di questo testo è stata pienamente riconosciuta solo negli ultimi decenni del Novecento, anche grazie alla personale interpretazione che ne diede nel 1981 Leonardo Sciascia.
Con un altro verbale.
È la seduta del Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica che nel 1936 cominciò il processo di incriminazione di Bucharin che lo avrebbe portato l’anno dopo all’arresto e poi alla morte.
Uno studioso italiano, Alessandro Portelli.
Il saggio L’uccisione di Luigi Trastulli (17 marzo 1949). La memoria e l’evento è ora in A. Portelli, Storie orali. Racconto, immaginazione, dialogo, Donzelli, Roma, 2007. Si ringrazia Alessandro Portelli per le utili discussioni e per avere fornito la registrazione della testimonianza di Amerigo Matteucci. E un grazie a Francesca Socrate.
approfondimenti
Qualcosa di simile a un poliziesco.
La voce Romanzo poliziesco di P. Ortoleva in Enciclopedia delle scienze sociali, Treccani, Roma, 1997, ora reperibile on line https://www.treccani.it/enciclopedia/romanzo-poliziesco_%28Enciclopedia-delle-scienze-sociali%29 sintetizza molto di quanto è stato scritto e pensato su questo singolare genere letterario, anche nella sua logica e nelle concezioni della ricerca e delle conoscenza che si manifestano nei suoi vari “modelli”.
È stato notato che il procedimento per indizi.
«I libri gialli ricordano le interminabili avventure dei cavalieri erranti. Al posto del cavaliere è stato messo il poliziotto. Ma (come tutto in un’epoca si tiene) questi è affezionato (sebbene per uno scopo diverso) alla tecnica della psicoanalisi. L’indizio rivelatore è sempre dove nessuno lo cerca». L’aforisma di Umberto Saba (1883-1957) è una delle “scorciatoie” pubblicate originariamente nel 1946, ora in Scorciatoie e raccontini, Einaudi, Torino, 2011. È a partire da un’ipotesi analoga che Carlo Ginzburg ha sviluppato il suo Spie. Radici di un paradigma indiziario, in Miti, emblemi, spie. Morfologia e storia, Einaudi, Torino, 1986.
Sotto tortura si può dire qualunque cosa.
La riflessione etica e critica sulla tortura trovò un momento-chiave nelle Osservazioni sulla tortura pubblicate nel 1777 da Pietro Verri (1728-1797), centrata sulla stessa vicenda milanese sulla quale sarebbe poi tornato, ma in dialogo critico con l’illuminista milanese, Alessandro Manzoni. In particolare lo scrittore era in disaccordo con Verri sulle cause del fenomeno, che l’illuminista tendeva ad ascrivere alla “barbarie” del secolo XVII mentre per Manzoni è sempre responsabilità delle persone. La storia successiva ha dimostrato che la tesi di Verri era purtroppo ottimistica: l’uscita dai pretesi “secoli bui” non ha insegnato niente, neppure a paesi democratici, per non parlare dei regimi dittatoriali. Se a fine anni Cinquanta le notizie dell’uso della tortura da parte francese nella guerra d’Algeria furono motivo di scandalo, in particolare con la pubblicazione del libro di Henri Alleg, La question, Editions de Minuit, Paris, 1958, in seguito la pratica sostanzialmente legalizzata dei tormenti è stata autorizzata e incoraggiata in diversi eserciti tra cui quello statunitense. Sempre con la motivazione per cui solo con quel mezzo si sarebbero potute ottenere informazione essenziali e “salvare vite”. E ci sono molti storici che ritengono almeno parzialmente affidabili i verbali di interrogatori condotti sotto tortura, a partire da quelli dell’Inquisizione. In realtà come ci chiariscono testimonianze esplicite di membri del personale di eserciti e polizie dei regimi dittatoriali, il fine principale della tortura non è quello di ottenere conoscenze ma piuttosto quello di “piegare” o distruggere le persone, spezzando ogni volontà di resistenza. Per la tortura come per altri crimini “contro l’umanità” si è imposta nella nostra cultura, e nel moderno diritto delle genti, la regola della responsabilità personale, per cui nessuno è giustificabile con motivazioni come l’obbedienza a ordini superiori. È in sostanza il principio sostenuto da Alessandro Manzoni. E credere che la tortura “serva” a ottenere informazioni vere resta ingenuo dal punto di vista conoscitivo, oltre che ripugnante dal punto di vista etico.