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1. A che serve la storia?

Indice dei riferimenti e approfondimenti

Riferimenti

«“Papà, spiegami allora, a che serve la storia?”Così un giovinetto, che mi è molto caro, interrogava qualche anno fa, il padre, uno storico». 

Sono le parole con cui si apre Apologia della storia, o Mestiere di storico, di Marc Bloch (1886-1944): un’opera a cui torneremo più volte, in questa e nelle prossime puntate.  Il libro fu scritto tra il 1940 e il 1943, il manoscritto ritrovato tra le carte di Bloch venne pubblicato nel 1949 da Lucien Febvre, il grande studioso a cui era dedicato. La traduzione italiana apparsa presso Einaudi nel 1950 fu la prima in lingua straniera. Dopo di allora il testo è stato più volte oggetto di revisioni filologiche e critiche: quella a cui ci riferiamo è l’edizione del 2009.

 

«La storia per me, più o meno, è una fesseria». 

La frase, con quello che segue, venne riportata in un’intervista a Henry Ford (1863-1947) pubblicata dalla Chicago Tribune in diverse parti il 25 maggio 1916 e nei giorni seguenti.

 

Protocolli dei savi di Sion.

Su questo “documento” contraffatto e sulla vicenda dei suoi usi dalla polizia segreta russa al nazismo e oltre, come su altri grandi falsi storici, si tornerà ampiamente nella quinta puntata. Il giornale di proprietà di Ford, il Dearborn Independent (Dearborn è la città del Michigan, parte dell’area metropolitana di Detroit, che fu la sede della Ford Motor Company) pubblicò tra il maggio e l’ottobre 1920 ampi estratti dei falsi Protocols of the Elders of Zion e articoli che amplificavano ulteriormente, con altre dicerie infondate, la “minaccia” ebraica. 

A partire dal novembre dello stesso anno estratti e articoli vennero raccolti in quattro volumi dal titolo The International Jew: The World’s Foremost Problem. La definizione, all’indomani della grande guerra, degli ebrei come il problema “principale” del pianeta è di per sé indicativa del livello di allarme cospirativo-paranoide che si voleva lanciare. La circolazione degli articoli e dei volumi raggiunse nell’insieme, si calcola, almeno il mezzo milione di copie.

 

Jules Verne, Parigi nel XX secolo, Newton Compton, Roma, 1995. 

Il libro venne scritto da Verne (1828-1905) nel 1863 o forse, come qualcuno sostiene, negli anni immediatamente precedenti, e venne rifiutato dallo storico editore del romanziere, Hetzel, con le parole: «Nessuno crederà alle sue profezie». Un’edizione curata da Piero Gondolo della Riva, noto studioso dello scrittore, è apparsa in Francia nel 1994.

 

Historia magistra vitae.

La citatissima espressione è generalmente fatta risalire a Marco Tullio Cicerone, l’autore, oratore e pensatore romano (106-43 a.C.). Nel suo De oratore scritto attorno al 55 a.C. si legge «Historia vero testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis», cioè «In verità la storia è testimone dei tempi, illuminazione del vero, vivificazione della memoria, maestra di vita, messaggera del tempo antico».

 

«La storia non è magistra di niente che ci riguardi». 

La storia è parte della raccolta Satura pubblicata da Eugenio Montale (1896-1981) nel 1971. Si tratta di una delle ultime raccolte di versi del poeta che sarebbe stato insignito del premio Nobel per la letteratura nel 1975.

approfondimenti

Vediamo di metterci d’accordo su che cosa intendiamo per storia. 

Il Grande Dizionario della Lingua Italiana, riperibile in rete grazie all’Accademia della Crusca – https://www.gdli.it – offre a partire dalla pag. 229 del volume XX una ricostruzione accurata (come è tipico di questa grande opera) dei diversi usi del termine del termine storia lungo l’evoluzione della lingua italiana, dalle origini fino a tempi molto vicini ai nostri, e anche una definizione articolata della storia intesa come forma di conoscenza e disciplina scientifica. Riportiamo la prima parte di quella definizione, anche per invitare il lettore a confrontarla con l’analisi e la rappresentazione che verrà proposta in questa e nelle prossime puntate: «Storia Esposizione ordinata e sistematica di modi d’essere, fatti e avvenimenti del passato compiuti o determinati dall’uomo o comunque attinenti alla sua esistenza, quali risultano da un’indagine scientifica volta ad accertarne la verità attraverso la ricerca e l’esame delle fonti, da una selezione basata sul riconoscimento del loro significato e della loro importanza e da un’interpretazione scientifica intesa a rilevarne le correlazioni e connessioni reciproche, spesso anche con l’intento di farne emergere l’unità logica di sviluppo (e in tale accezione il termine si contrappone fin dalle origini, nel mondo greco, alla natura, inteso come la totalità di ciò che è indipendente dall’uomo e non può essere considerato come sua produzione o creazione, e nell’uso moderno anche al mito che ha per materia della narrazione fatti inventati o non oggettivamente verificati, e alla cronaca, che esclude l’intervento di selezione e interpretazione dei fatti da parte dello studioso, mentre tali distinzioni nel mondo classico e medievale non sempre sono avvertite come essenziali e fondanti)».

 

Henry Ford. 

Si tratta di una figura tra le più significative e complesse della storia dell’industrializzazione moderna, e della società industriale più in generale: il “fordismo”, il sistema sociotecnico legato il suo nome, ha fatto sentire la sua influenza non solo negli USA ma anche, fortemente, nell’Europa della prima metà del Novecento, e basta ricordare le celebri pagine dai Quaderni dal carcere di Antonio Gramsci dal titolo Americanismo e fordismo, si veda l’edizione Einaudi, Torino, 1997. Si può consultare in proposito B. Settis, Fordismi. Storia politica della produzione di massa, Il Mulino, Bologna, 2016. 

Anche l’autobiografia di H. Ford (scritta con il giornalista Samuel Crowther) è di un certo interesse: un’edizione italiana è Autobiografia, a cura di P. Bairati, Rizzoli, Milano, 1982; una di poco precedente è La mia vita e la mia opera, con due saggi di P. Ortoleva (sulla storia di Ford e del fordismo, e sulla fortuna di Ford nell’Europa degli anni tra le due guerre), La salamandra, Milano, 1980.

 

«La storia non è magistra!. 

Si riporta qui il testo integrale del componimento La storia di Eugenio Montale, che è possibile mettere a confronto, per meglio coglierne la forte carica riflessiva e ironica insieme con altri componimenti dell’ultimo Montale, dalla stessa raccolta Satura, che include Xenia già pubblicata in precedenza nel 1966, e dal successivo Diario del ’71 e ’72.

La storia

La storia non si snoda
come una catena
di anelli ininterrotta.
In ogni caso
molti anelli non tengono.
La storia non contiene
il prima e il dopo,
nulla che in lei borbotti
a lento fuoco.
La storia non è prodotta
da chi la pensa e neppure
da chi l’ignora. La storia
non si fa strada, si ostina,
detesta il poco a poco, non procede
né recede, si sposta di binario
e la sua direzione
non è nell’orario.
La storia non giustifica
e non deplora,
la storia non è intrinseca
perché è fuori.
La storia non somministra carezze o colpi di frusta.
La storia non è magistra
di niente che ci riguardi. Accorgersene non serve
a farla più vera e più giusta.
La storia non è poi
la devastante ruspa che si dice.
Lascia sottopassaggi, cripte, buche
e nascondigli. C’è chi sopravvive.
La storia è anche benevola: distrugge
quanto più può: se esagerasse, certo
sarebbe meglio, ma la storia è a corto
di notizie, non compie tutte le sue vendette.
La storia gratta il fondo
come una rete a strascico
con qualche strappo e più di un pesce sfugge.
Qualche volta s’incontra l’ectoplasma
d’uno scampato e non sembra particolarmente felice.
Ignora di essere fuori, nessuno glie n’ha parlato.
Gli altri, nel sacco, si credono
più liberi di lui.

 

Ma soprattutto dopo l’esperienza del Novecento. 

Il richiamo alla storia ha avuto un ruolo cruciale nelle principali ideologie che, pur risalenti all’Ottocento, nel XX secolo sono state soprattutto in Europa alla base dei grandi conflitti e degli stati maggiormente oppressivi. Ed è stato assunto come fondamento e legittimazione di sistemi politici, di istituzioni pubbliche e di azioni belliche. Il nazionalismo, sfociato poi nei fascismi come espressione estrema, si richiama all’idea di nazione intesa come un’unità originaria di diversi elementi tra cui la lingua, il territorio ma anche (e con notevole rilievo) la storia e le tradizioni: una storia largamente piegata all’esaltazione della nazione stessa, e richiamata dall’insegnamento scolastico, dai monumenti, dai nomi delle strade. Se ne riparlerà nelle puntate 11 e 12. Il marxismo, ideologia fondatrice dei paesi comunisti a cominciare dall’Urss e dalla Cina, è definito “materialismo storico” ed è fondato su una delle più influenti filosofie della storia: quella che rappresenta l’evoluzione nel tempo delle società come una successione di “forme economiche” e di conflitti “di classe”, e può vedere come proprio sbocco l’idea di rivoluzione. L’emergere poi nel corso del Novecento di conflitti su base identitaria ha fatto appello a “radici” di tipo religioso, etnico, ma anche a carattere appunto storico, e ha evidenziato altri usi strumentali del passato. Un esempio recente sono stati i neo-nazionalismi della ex-Jugoslavia: lo dimostra la tendenza soprattutto dei gruppi serbi in Bosnia o nel Kosovo a rivendicare territori abitati prevalentemente da altre etnie risalendo a veri o presunti titoli “originari” di possesso e a (sempre presunti) antichi radicamenti.