2. Storia: viaggio dentro una parola
Indice dei riferimenti e approfondimenti
Riferimenti
Scienza dell’umanità nel tempo.
La definizione di Marc Bloch è contenuta in Apologia della storia, o Mestiere di storico, Einaudi, Torino, 2009. Il testo in realtà parla di «scienza degli uomini nel tempo», ma da allora l’abitudine di usare la parola “uomini” per indicare tutti gli esseri umani è stata sottoposta a una riflessione critica, e qui si è preferito parlare, come oggi è più accettabile, di “umanità”.
Nient’altro che un racconto vero.
Questa definizione, e la successiva citazione, sono tratte dal libro di P. Veyne (1930-2022), Come si scrive la storia. Saggio di epistemologia, Laterza, Roma-Bari, 1973.
L’umanità si appropria del tempo articolandolo in chiave narrativa.
È il punto di partenza della grande opera di Paul Ricoeur (1913-2005), Tempo e racconto, pubblicata in tre volumi da Jaca Book, Milano, a partire dal 1983 e più volte ristampata. La riflessione del filosofo francese prende le mosse dalla filosofia di Agostino e dalla Poetica di Aristotele.
La Musa spinse il cantor.
La citazione è presa dal canto VIII dell’Odissea nella classica traduzione di Ettore Romagnoli, Zanichelli, Bologna, 1932, da allora molte volte ristampata.
Hannah Arendt.
Il saggio Il concetto di storia: nell’antichità e oggi della pensatrice tedesco-statunitense (1906-1975) è in Tra passato e futuro, Vallecchi, Firenze,1970, poi più volte ristampato presso Garzanti.
Bardi.
L’analogia tra le forme narrative prevalenti nella storiografia e «i bardi dei popoli sottosviluppati» fu enunciata da P. Bagby, Culture and History. Prolegomena to the Comparative Study of Civilization, University of California Press, e criticata da S. Kracauer (1889-1966) in Prima delle cose ultime, Marietti, Genova, 1985.
approfondimenti
L’umanità si appropria del tempo articolandolo in chiave narrativa.
A lungo ha prevalso l’idea che la conoscenza umana dovesse affidarsi soprattutto o esclusivamente a facoltà come l’osservazione e il pensiero razionale, e che la narrazione avesse un ruolo sì, comunicativo, ma non di vera e propria “appropriazione” del reale. In questo, l’opera di Ricoeur ha esercitato ed esercita una grande influenza innovativa. Il filosofo francese si sofferma soprattutto su come il racconto serva a collocare l’esperienza umana nel tempo, dimensione decisiva del vivere. Si può aggiungere, prospettiva ancora molto da sviluppare, che la narrazione risponde anche a quell’esigenza profonda dell’umanità che è il bisogno di dare senso all’universo che la circonda, e prima di tutto alla vita propria e dei propri simili: raccontando infatti non ci si limita a “svolgere” il vivere nel tempo, ma si dotano le azioni, e le esperienze, di possibili significati. Sulla centralità del racconto nel pensiero umano si trova una notazione convergente, ma partendo da presupposti differenti, in Mente e natura. Un’unità necessaria (Adelphi, Milano, 1984) di una figura centrale dell’epistemologia e del pensiero cognitivo contemporaneo, Gregory Bateson (1904-1980). Vi si racconta un aneddoto (le sue riflessioni procedono spesso esse stesse per racconti), su un uomo che chiede a un computer «Pensi che ragionerai mai come un essere umano?». La macchina si mette al lavoro e poi stampa la risposta: «Questo mi ricorda una storia». E Bateson ne conclude: «Tutti pensano in termini di storie», un’affermazione per certi versi perfino più radicale nella sua sinteticità di quella di Ricoeur, che fa del racconto un modello di riferimento, in generale, del pensare.
In questa scena commovente.
Invitandoci a riflettere su quel passo dell’Odissea Hannah Arendt evidenzia, sia pure senza poi discuterne molto, l’aspetto emotivo che può accompagnare la domanda di storia. La parola “emotivo” può apparire in contrasto con il rigore che caratterizza una scienza, ma se il metodo della ricerca richiede distacco le domande che muovono alla ricerca possono avere radici profonde: nelle quali la sfera conoscitiva e quella appunto delle emozioni non possono essere separate rigidamente. E la storia tra tutte le scienze è la più ”umana”, in quanto (per riprendere una celebre metafora sempre di Marc Bloch) lo storico è come l’orco delle fiabe, è animato dall’odore della carne della nostra specie. E possiamo aggiungere (per riprendere un’ancor più celebre espressione del latino Terenzio), non dovrebbe sentirsi estraneo a nulla che sia umano. Senza dimenticare, inoltre, che se lo storico vuole lavorare senza farsi condizionare dalle emozioni è bene tenere conto, prima ti tutto, del fatto che esse esistono.
Di questa scienza stessa… dovremo saper fare storia.
La storia della ricerca storica o “storia della storiografia” ha una tradizione antichissima e ha prodotto anche opere di grande importanza. Negli ultimi decenni alcuni studiosi hanno da un lato approfondito i concetti che sono stati usati per “dare senso” alla storia e i suoi tempi (il principale riferimento in lingua italiana è Futuro passato. Per una semantica dei tempi storici, Marietti, Genova, 1986), dall’altro proposto di individuare i diversi “regimi di storicità” che hanno caratterizzato società o epoche diverse, ovvero i diversi modi di concepire i rapporti tra passato e presente, e di rapportarsi con la storia. Si veda, prima di tutto, Regimi di storicità, Sellerio, Palermo, 2007.